A partire dal 2005, Anne-Lise Ducanda [il suo diffusissimo video sull’autismo virtuale è finalmente tradotto in italiano, guardatelo e diffondetelo!] e Sabine Duflo, psicoterapeute che lavorano nei servizi sanitari della periferia parigina, hanno registrato un aumento esponenziale delle patologie legate ai disturbi dello spettro di autismo, dell’attenzione e del linguaggio.
Hanno quindi analizzato il ruolo del tempo-schermo in età prescolare e sono riuscite a identificare una nuova psicopatologia, da loro definita «autismo virtuale»: bambini tra i due e i cinque anni che non capiscono una semplice consegna, che non si muovono o, al contrario, sono molto agitati; scappano e buttano tutto per terra; non tollerano la frustrazione quando viene detto loro di no; urlano, si rotolano sul pavimento; a volte sono aggressivi, mordono, picchiano e graffiano, oppure hanno gesti inappropriati; fissano una luce, una finestra; giocano sempre con lo stesso giocattolo, con stereotipie, indifferenti al mondo che li circonda; bambini che spesso non reagiscono nemmeno quando viene pronunciato il loro nome, non giocano con gli altri, non parlano o lo fanno in ecolalia, oppure ripetono parola per parola la domanda che viene loro posta.
Spesso questi sintomi sono assimilabili ai disturbi dello spettro di autismo, per i limiti di comunicazione e interazione sociale, nonché per le attività e gli interessi selettivi.
Si parla però di autismo virtuale perché i sintomi scompaiono non appena si interrompe il tempo-schermo. Intervenendo nel dibattito, Daniel Marcelli – presidente della Société française de psychiatrie de l’enfant, de l’adolescent et des professions associées, nonché membro del Colletivo Surexposition écrans (CoSE) – ha parlato di evidenze cliniche che caratterizzano l’«esposizione precoce ed eccessiva agli schermi in tutte le loro forme (EPEE)».
Il testo è tratto da, S. Lanza, Perdere tempo per educare, educare all’utopia nell’epoca del digitale, 2020
PROFUMI E BALOCCHI IN ZONA ROSSA
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